Sub e soldati, così l’Italia lavora per salvare la diga di Mosul in Iraq
E’ davvero epica l’impresa italiana di salvare la diga di Mosul, in Iraq, dove mancava da decenni una manutenzione adeguata e si rischiava una catastrofe umanitaria. Nei giorni scorsi il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, era appunto in Iraq «dove 1.400 militari italiani sono impegnati nella coalizione contro l’Isis: è la nostra missione più importante e lo è per scelta politica». E’ tornata con l’emozione di avere assistito a una missione unica nel suo genere.
«A Mosul, dove i nostri militari (l’ottimo 6° Reggimento Bersaglieri e il suo comandante, il colonnello Piccirillo, ndr) gestiscono un campo che è insieme civile e militare – ha raccontato Roberta Pinotti in Parlamento per il decreto di rifinanziamento delle missioni all’estero – i lavori per la messa in sicurezza infrastrutturale della diga stanno andando avanti molto bene. Vi racconto un episodio che spiega la complessità del lavoro. La società Trevi, responsabile del rafforzamento della diga, ha portato nel cantiere una piattaforma iperbarica per subacquei che vanno su e giù, restando in atmosfera controllata, per turni di 28 giorni. Ecco, è una sfida davvero inedita, ma i nostri militari hanno studiato un meccanismo per cui sono in grado, in caso di eventuale evacuazione del campo, di prendere e portare via l’intera camera iperbarica con i subacquei dentro».
E’ davvero un fiore all’occhiello della capacità italiana, ciò che sta avvenendo nel Kurdistan iracheno, a pochi chilometri dalla linea del fronte, dirimpetto alla battaglia di Mosul. I subacquei italiani delle società Drafinsub e Nautilus, di Genova e di Venezia, hanno unito le forze per salvare la diga. E’ stato trasportato sul lago di Mosul un complesso di camere iperbariche che è uguale in tutto e per tutto ad una stazione spaziale. Lì un team di 6 sub vive e lavora in ambiente iperbarico, sia quando si muove a -60 metri di profondità, sia quando risale alla luce del sole. Si muovono con una campana che fa da ascensore e si sottopongono a una decompressione unica a fine turno di lavoro, «limitando – come spiegano i responsabili dall’Italia – i rischi insiti nel nostro lavoro».
In profondità, i sub devono controllare lo stato di enormi boccaporti da 80 tonnellate che aprono o chiudono gigantesche gallerie di scarico, da attivare in caso di emergenza. Anche se il lavoro avviene in un lago nel centro del Medioriente, la profondità è analoga a quella degli alti fondali. «E con l’arrivo delle piogge i nostri sub lavoreranno a -100 metri».
Come se non bastasse la difficoltà di portare uomini e mezzi in un’area desertica dell’Iraq, c’è anche una guerra vicinissima. «I rischi ci sono», dice il ministro. Più di una volta nei mesi scorsi i miliziani di Desh hanno provato a sparare razzi contro il cantiere italiano. «Ma il tentativo è stato sventato grazie all’ottima collaborazione con le forze locali, militari, di polizia e d’intelligence».
Le cose da quelle parti funzionano, insomma. «I nostri – ha ricordato Pinotti – hanno addestrato il 25% delle forze irachene e curde complessivamente formate dalla coalizione internazionale. Non sto a dirvi i complimenti che ci fanno sia a Erbil, dove è l’autorità regionale del Kurdistan, sia a Baghdad». Il ministro ha poi riferito che presto saranno curati in Italia «alcuni peshmerga feriti che hanno bisogno di interventi medici adeguati».